L'Angolo di Emanuele Bavieri': i Beatles e John Lennon


Questa storia comincia dalla loro disfatta. E perché? Perché per i quattro ragazzi di Liverpool la fine comincia proprio con ‘Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band’ (1967), a detta della critica “capolavoro assoluto di una discografia stellare”¹ e giustamente è l’album che mostra la svolta artistica del gruppo inglese, che però non merita tutto questo rumoroso plauso. In effetti sembra essere un’opera a dir poco oscura, basti pensare a ‘Lucy In The Sky With Diamonds (L.S.D.) per capire bene la portata dei messaggi sia testuali che musicali che in quanto a ripetizioni e violenza non scherzano affatto - il crollo della band comincia anche dopo la morte per overdose del loro Manager Brian Epstein. Infatti a partire da questo album la verve artistica del duo Lennon/McCartney si affievolisce, nonostante presenti alcuni sporadici e interessanti aspetti musicali ‘A Day in the Life’ ad esempio. In conclusione vi è la rottura definitiva appunto nel 1970. La domanda da porre è in realtà questa: - Perché mai George Martin, loro produttore nonché arrangiatore orchestrale, decide alla fine degli anni ’60 di far fare questo drastico cambiamento musicale che nulla ha a che fare con brani come ‘Help!’, ‘She Loves You’, ‘Eleanor Rigby’ che definirei Baroque pop, ‘And I Love Her’, ‘Can’t Buy Me Love’, ‘If I Fell’ o ‘Eight Days a Week‘ (tanto per citarne qualcuno di repertorio) per portarli alla divisione? -

Se guardiamo con attenzione le loro foto e, soprattutto  ascoltiamo bene la prima parte della loro carriera artistica non si può non sentire una specie di felicità nascosta anche nelle più tristi canzoni come ‘Michelle’ o ‘Yesterday’, una felicità che nasce da dentro e che si manifesta talmente in maniera forte da caratterizzare il loro prodotto artistico in modo brillante e acuto.

Probabilmente fu anche vero quello che disse Allen Gisberg: “il beat è lo strumento della liberazione sessuale”² ma sono contrario nel pensare che John, Paul, George e Ringo fossero proiettati proprio verso questa strada, cercando solo di fare musica di consumo con le loro canzoni, è più probabile che altri gruppi, appunto, seguendo anche la moda del momento, cercassero proprio un indirizzo tale, gruppi che poi sono finiti nel dimenticatoio.

Nella seconda parte, invece, - come già è stato detto - che comincia proprio nel ’67 - ma anche leggermente prima -  si nota in modo chiaro e lampante una specie di fastidio, come una noia, un disturbo profondo come un vuoto prodotto forse da illusioni mistiche pseudo-orientali, dalle continue ripetizioni musicali pressoché inutili e che annientano quella spettacolare particolarità che caratterizzava il loro precedente periodo.

George Harrison, invece, nonostante sia nel gruppo musicale fa una carriera a parte, ‘Here Comes the Sun’ ad esempio che è successiva al 1967 presenta ancora quella gioia che il duo ha perso ma anche ‘Something’ non è da meno anche se si sente una certa cupezza nel suono che fa intuire una caduta di stile, ma resta ancora una grande canzone, niente da dire.

In ‘Let It Be’ (1970) ultimo album della band sembra quasi che il gruppo abbia ritrovato un po’ di speranza e a dire il vero è udibile infatti nelle tracce. In ‘Let It Be’ appare subito un suono che ritorna metallico, quasi squillante e che sembra in parte riprendere qualcosa delle loro vecchie canzoni, infatti assieme allo storico produttore questa volta, non più solo, collabora Phil Spector che guarda caso è compositore e musicista pure lui e probabilmente è grazie a questo fatto che The Fab Four fanno un piccolo passo indietro e cioè un grande passo avanti, anche se ‘Across the Universe’ rimane a mio parere una canzone fortemente buia e triste. Niente da dire su ‘The Long and Winding Road’ canzone straordinaria. Ecco però che quasi improvvisamente la compagnia si scioglie e dopo un anno Lennon produce un album.

A mio parere ‘Imagine’ (1971) e soprattutto la canzone omonima è il momento più brutto e raccapricciante della carriera solistica di John Lennon che segue infatti l’onda sorda, ombrosa lasciata quando ancora suonava con i Beatles, basti ascoltare con attenzione il testo per comprenderne il motivo ma anche il pianoforte non scherza tanto, ascoltando in quale modo ovattato esce il suono e come canta malinconicamente il brano, si può comprendere quanto confuso e assordato dalla celebrità fosse,  si intuisce veramente una forte noia come una tristezza ed è chiaro che l’aver sperimentato molto non l’ha portato ad avere tutto, perché purtroppo ancora manca di sperimentare qualcosa di grande e, in conclusione, pur non essendo riuscito ad avere tutto, fa fatica a fare un passo ulteriore, scegliendo non la verticalità, ma l’orizzontalità, rispondendo così  in maniera distorta – ingannato -  a certe falsità. Fortunatamente Lennon non è stato solo quella parentesi e si riprende infatti con l’album ‘Rock’n roll’ (1975) un album di cover contenente classici rock degli anni ’50, dove pare ritornare agli esordi della carriera e questa volta ha la sua vita di nuovo in mano, non dimentichiamoci la bellissima ‘Stand by me’ arrangiata in modo eccellente, il solo della chitarra, ma anche ‘Be-Bop-A-Lula’, ‘Rip It Up’ o ‘Peggy Sue’. Dopo questo album l’ex-Beatle si ritira per cinque anni per la nascita del figlio Sean.

Dopodichè esce ‘Double Fantasy’ (1980)  che è a mio parere l’album più bello della sua carriera musicale da solista dove compare addirittura una canzone dedicata a suo figlio ‘Beautiful Boy (Darling Boy)’ ma poi anche ‘(Just Like) Starting Over’, ‘Watching the Wheels’, ‘Woman’ così Lennon ritorna alla sua vera identità di rockerman, giocoso, malinconico e arioso, divertente e scherzoso ma anche riflessivo, introspettivo e a tratti religioso.  

A conferma di quanto ho scritto e contrariamente a quanto si possa pensare in effetti, nell’anno 2000 esce una ristampa dell’album ‘Double Fantasy’ nella quale appaiono tre Bonus Track tra cui: Help Me to Help Myself canzone che originariamente e con molta probabilità, avrebbe fatto parte dell’album che mai uscì. A quanto si dice in giro, ma non è chiaro, Yoko Ono si risentì molto, reagendo in malo modo. In effetti alcune dichiarazioni che circolano fanno credere fortemente che abbia nascosto questa ultima canzone per quasi 30 anni, proprio perché avrebbe dimostrato un ulteriore cambiamento di rotta dell’ex-Beatle, come un ritorno alle origini. Questo è il testo dell’ultima e bellissima canzone del mito John Lennon, morto per un omicidio a 40 anni l’8 dicembre del 1980:

Help me to help myself
Well, I tried so hard to stay alive
But the angel of destruction keeps on houndin' me all around
But I know in my heart
That we never really parted, oh no
They say the Lord helps those who helps themselves
So I'm asking this question in the hope that you'll be kind
'Cause I know deep inside I was never satisfied, oh no
Lord, help me, Lord
Please, help me, Lord, yeah yeah yeah
Help me to help myself
Help me to help myself
Traduzione italiana

Aiutami ad aiutare me stesso

Ho cercato in tutti i modi di restare in vita
ma l’angelo della distruzione
continua a perseguitarmi.
Ma nel mio cuore io so
che noi non ci siamo mai lasciati. Oh no.
Dicono che Dio aiuta chi aiuta se stesso,
così faccio questa richiesta 
nella speranza che sarai buono con me
perché nel mio cuore sono certo
che non mi sono mai sentito soddisfatto. Oh no.

Aiutami Signore
Aiutami Signore adesso
ti prego, aiutami Signore
Aiutami ad aiutare me stesso


Opere citate:
1. Cit. E. Gentile & A. Tonti ‘Dizionario del Pop-rock, 2006 pag. 104
2. Cit. Rolf-Ulrich Kaiser ‘Das Buch der neuen Pop-Musik’, 1969 pag. 44

Link utili:

‘Help me to help myself’: http://www.youtube.com/watch?v=DABxb5d7cWQ
‘El Mundo’ Recensione del critico musicale Julián Ruiz: http://www.elmundo.es/cultura/2014/01/08/52cc255e22601dcb028b4589.html

Curiosità:

‘Double Fantasy’ vinse il premio Grammy nel 1981 come ‘Album dell’anno’


‘Double Fantasy’ si piazzò nel 1989 al 29° posto nella classifica dei 100 migliori dischi degli anni Ottanta redatta da ‘Rolling Stone’.

Emanuele Bavieri