Questa storia comincia con lo scioglimento della band The Jimi Hendrix Experience avvenuta nel 1970. E perché? Eppure c’è stato qualcuno che, sentita la band, ha detto: “da oggi il Rock non sarà più lo stesso”º ed è certamente vero, ma andiamo in ordine e cerchiamo di capire bene questa frase e cosa portò Hendrix a questo cambiamento radicale del gruppo e anche del management.
La domanda più precisa è: ma cosa era successo negli anni precedenti alla rottura della band?
Ecco, dobbiamo dire che la carriera musicale di Jimi Hendrix fu piuttosto agitata e che, prima di conoscere il batterista degli Animals, aveva tentato più volte di mettersi in mostra soprattutto nelle esibizioni live fatte nelle formazioni musicali con conosciuti musicisti dell’epoca per dirne qualcuno: Sam Cooke, Wilson Pickett e anche Little Richard.
Quest’ultimo si dice che ebbe dei risentimenti nei confronti di Hendrix in quanto era, a suo parere, troppo esibizionista.
Nel 1967 - l’anno in cui esce l’album dei Beatles ‘Stg. Peppers Lonely Heart Club Band’ - dopo lunghe peripezie e contrasti con i vari musicisti dell’epoca Hendrix finalmente trovò Chas Chandler che lo notò in un locale e “diventa subito suo manager e decide di investire sull’artista nero tutti i suoi guadagni”¹ ma il chitarrista non funziona troppo come solista e così scelgono di proporlo in una formazione a tre sull’onda del momento, come avevano già fatto anche i Cream. Da questo momento parte la carriera vera e propria di Hendrix.
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Comunque i brani di questi due album si fa fatica a reggerli tutti, se ancora si hanno buone orecchie, una o due già si digeriscono male, ma ancora più forte è quello che si prova, è come un risucchio dell’anima interiore di chi ascolta, praticamente si è sballottati verso un cortocircuito mentale che è costruito appositamente per indicare strade alternative che dovrebbero portare all’illuminazione.
Ma è certo che questa musica invece di divertire e illuminare porti forte angoscia e depressione e non per empatia, ma semplicemente per la forte vibrazione sonora che eccita spingendo verso un abbrutimento, ed è molto potente e aggressiva e avvolge il fruitore che inconsapevolmente viene spinto verso il vuoto, un vuoto che riesce ad agire sulla persona sia da un punto di vista fisico che spirituale facendole desiderare qualcosa di altrettanto estremo che lo riempia e non è un caso che molto più spesso questo accade per mezzo dell’uso di droghe o come accadeva all’epoca di barbiturici. Infatti in un’intervista Jimi Hendrix ebbe a dire: “con la musica si può ordinare al subcosciente ciò che si vuole”²
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Quindi fondamentalmente questo autore non è così originale come lo si vuol far credere e penso che solo la chitarra elettrica forse è l’unica nota abbastanza innovativa rispetto a quelle precedenti, ma niente di più. Esaminando alcune delle sue canzoni sembra che voglia portare in questa direzione distorta e continua l’ascoltatore, che lo voglia avviluppare, circuire e incatenare in questa sfrenante allucinazione. È come se preannunciasse un disturbo paranoico continuo e con questo si sforzi per trapassare e poi vincolare su quella strada anche i fruitori, come se volesse che questo disturbo, questo suono distorto, questo deformato delirio facesse compagnia anche a chi questo suono, grazie a Dio, non lo vive e non lo percepisce se non a causa sua. Non è un caso, infatti, che il secondo brano dell’album “Are you Experienced” s’intitoli proprio: “Maniac Depression” e non è un bell’ascoltare, sia musicale che testuale, appunto, anche “Purple Haze” risulta piena di stravaganze inutili. Ma anche il secondo album ha vette di ascolto impossibile, basti pensare a “Exp”, “Bold as Love” o “Little Wing”, brani che risultano confusionari e instabili alla fine dei quali senti un forte squilibrio mentale, questo è dovuto naturalmente non solo al suono ma anche alle scelte delle note emesse e alle scelte di power chord e distorsioni spinte all’eccesso appositamente per disturbare continuamente l’utente. Questa musica è certo che spinga con forza a fare uso di droghe, sembra fatta apposta per questo, ed è molto insistente la sensazione di desiderare qualcosa di diverso per uscire dalla quotidianità. L’altro brano di cui accenno è “Foxy lady” il primo brano dell’album “Are you Experienced” che ritengo discutibile e per niente buono per i motivi già detti.
Poi l’album “Electric Ladyland” 1968 Un trito di tutto quello che sapeva fare con le solite scale blues e i soliti assoli alla chitarra, le solite dinamiche, i soliti bending, il solito tutto insomma… cose che vengono quasi ignorate da tutti gli artisti eccetto che da Bob Dylan e non si capisce il perché. La chitarra elettrica suonata dal mancino che cerca disperatamente di essere fiammeggiate e multicolore, ma che risulta a parer mio la solita zuppa musicale, niente di evocativo, niente di fantasia, niente di niente: uguale ai dischi precedenti, d’altronde solo quello sapeva fare e cerca di farlo al meglio che può, per carità, si può capire, ciò accade anche con molti dei musicisti epigoni moderni… poi ancora questa forma psichedelica astrusa e fuori luogo in cui l’unica rivelazione dell’anima (Psychedelia) è la superficialità e l’esibizionismo. Ancora molti dei posteri si chiedono cosa ci sia di così interessante in questo musicista da portarlo al trionfo in questo modo…
“Ebbe un fittizio trionfo a Woodstock , luogo deputato dei grandi raduni rock, imitando con la chitarra i devastanti bombardamenti americani in Wietnam ma non ebbe lo stesso riscontro all’isola di Wight nel 1970”³ Probabilmente la sua inconcludente angoscia lo portò a questa situazione fino alla rottura della formazione e a cambiare in tronco tutto il management, forse pensava in questo modo di dare un nuovo e ampio respiro alla sua musica, se così mi è permesso di chiamarla.
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Emanuele Bavieri
0. Cit. E. Gentile & A. Tonti ‘Dizionario del pop-rock’, 2006 pag. 104 1. Cit. ‘Grande Enciclopedia del Rock’ Un progetto di Riccardo Bertoncelli. A cura di Federigo Guglielmi e Cesare Rizzi, 2002, pagg. 376-377 2. ‘Live Magazine’ Rivista cartacea del 3 ottobre 1969 cfr. anche in W. Salin ‘Il canto di Satana’, 2006 pag. 69 3. Walter Mauro ‘La musica americana dal song al rock’, 1994, pag. 73